ALFABETO SPORTIVO DI UNA PANDEMIA (Da I a Z) – Parte 2

di Gigi Amati

I come isteria. Crescerebbe se si fermasse il calcio, questo almeno sosteneva il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, quando la Federazione nazionale aveva annunciato lo stop alle competizioni nazionali. «Se si ferma il calcio, tra le altre cose, cresce l’isteria e non è questa una cosa che io voglio. Si potevano valutare misure alternative e la cancellazione del calcio non conterrà il virus». aveva detto Bolsonaro. Poi sappiamo tutti com’è andata e anche il Brasile si è allineato al resto del mondo in fatti di campionati di calcio. L’isteria starà adesso aggredendo i brasiliani, quello che hanno votato Bolsonaro e soprattutto quelli che non l’hanno votato come presidente.

L come Lokomotiv Lipsia. Lo storico club tedesco, che nel 1987 arrivò in finale di Coppa delle Coppe e ora gioca in quarta serie, ha lanciato un’iniziativa originale quanto meritoria. Ha venduto 100mila biglietti per una partita invisibile contro un avversario altrettanto invisibile. Per l’evento virtuale che si terrà l’8 maggio, i biglietti costavano un euro e acquistandoli i tifosi hanno contribuito a sostenere le spese societarie. Gesto nobile sia da parte della società sia da parte dei sostenitori. In Italia però situazioni simili non sono infrequenti. Basti pensare a quanti pagano il biglietto per assistere alle partite delle quattro, cinque o anche sei gare finali di ogni stagione di serie A, quando nessuno gioca più seriamente avendo risolto gli assilli di classifica. Quelle sì che sono partite invisibili.
M come Mihajlovic. Il tecnico del Bologna anche in questo periodo dimostra la sua grinta. In un’intervista rilasciata quando l’emergenza da Covid-19 era all’inizio e si discuteva ancora sulle difficoltà dello stare chiusi in casa, Mihajlovic aveva risposto: «Dopo due guerre e le bombe, che problema è stare a casa? Dobbiamo aiutare i medici proteggendo le fasce più deboli». Parole sante, parole sagge, parole da leader. In un passaggio successivo, poi, il tecnico aggiungeva: «Non sminuisco i pericoli del Coronavirus, né l’ansia di chi non è abituato a stare a casa. Per dire: mia moglie si muove di più in casa che certi calciatori in campo». Ecco dunque perché il suo Bologna al momento dello stop era in piena crisi.
N come non gioco più. La prima federazione è stata quella del rugby, poi si è accodato il basket, intanto il volley ci sta pensando. I campionati 2019/2020 sono stati considerati finiti con la conseguente decisione di non assegnare i titoli nazionali e di bloccare sia le promozioni sia le retrocessioni. Il calcio italiano, invece, si sta ancora interrogando sul se riprendere e quando, in un intreccio di egoismo, interessi di bottega, bassi calcoli economici e tentativi di fregare i rivali: come sempre, del resto, non solo oggi. Se il rugby ha inventato e adottato il terzo tempo, simbolo di sportività e lealtà, il calcio si dimostra purtroppo ancora una volta fuori dal tempo.

O come Ospina. Il portiere colombiano del Napoli ha scalato le gerarchie e da quando in panchina c’è Gattuso ha scalzato il giovane Meret dai pali diventando titolare. Secondo alcuni osservatori, soprattutto quelli più pronti ad allinearsi con le decisioni tecnico-societarie, la scelta si giustifica con la maggiore attitudine di Ospina a giocare con i piedi, aiutando così la ripartenza dell’azione da dietro, come appunto piace a Gattuso. In realtà il tecnico pare la pensi diversamente da tempo, soprattutto dopo l’erroraccio di Ospina all’Olimpico contro la Lazio, anche se nel dopo gara ci fu un equivoco. Gattuso, fu scritto, dichiarò: «Il gol della Lazio è colpa mia, sono io che chiedo a Ospina di giocare il pallone», mentre in realtà la frase reale era monca dell’ultima parte e diceva così: «ll gol della Lazio è colpa mia, sono io che chiedo a Ospina di giocare».

P come pianto greco. La definizione, che prende spunto dalla tradizione dell’antica tragedia ellenistica, si usa oggigiorno per indicare chi esagera nell’esporre le proprie difficoltà, soprattutto economiche, a causa di eventi negativi di vario genere. In questi tempi grami e grigi, tra i principali interpreti di “pianto greco” ci sono sicuramente i presidenti della serie A. Malgrado abbiano per anni sostenuto – e sostengano ancora – che gli introiti della vendita dei biglietti pesano in maniera insignificante sui bilanci, adesso è tutto un disperarsi per la mancanza di incassi e di liquidità, il che serve naturalmente per elemosinare sconti e sgravi fiscali, salvo però pretendere per intero le quote che le tivù dovrebbero garantire loro per eventi che non si sono tenuti. Uno dei rimedi a cui pensano, e talvolta applicano, i presidenti, guarda caso, è un indegno taglio degli stipendi ai dipendenti amministrativi delle società, gente che in genere percepisce un decimo dello stipendio di un calciatore. Ai due estremi si posizionano l’Udinese e il Napoli. In Friuli i dirigenti si si sono dimezzati gli stipendi proprio per garantire le retribuzioni agli impiegati, a Napoli invece la società è subito passata all’azione e ha tagliato gli stipendi ai dipendenti. Certo è che, di qualsiasi tipo sia, quando c’è da fare “cassa” De Laurentiis è sempre in primissima fila.

Q come Qatar. Per ora gli strani mondiali invernali del 2022 restano confermati, anzi, intorno a quella data si cerca di armonizzare le altre grandi manifestazioni sportive, dalle Olimpiadi giapponesi agli Europei di calcio, già rinviati all’estate dell’anno prossimo, ai vari tornei. Anche il calcio, italiano ed europeo, cerca di imbastire un calendario per la ripartenza delle attività, tenendo appunto ben presente la scadenza di novembre-dicembre 2022 nell’emirato arabo e ipotizzando una serie di slittamenti dei calendari. Il timore è però uno solo: slitta questo, slitta quello, a furia di slittare si corre il rischio di finire fuori strada.

R come rimedi. Il web è pieno di pazzi e stralunati che propongono rimedi di ogni tipo, per lo più strampalati, per combattere il virus, e fra tutti spicca il consiglio di fare sciacqui a base di candeggina, così da tenere lontano il Covid-19 ma garantirsi comunque un posto in terapia intensiva per una indispensabile lavanda gastrica. Nel mondo del calcio spicca Alfons Schuhbeck, chef del Bayern Monaco e responsabile dell’alimentazione della squadra, che ha dichiarato di aver immunizzato i calciatori dal Coronavirus con una sua “bevanda magica”, così l’ha definita. «Non possiamo pensare di attivare il nostro sistema immunitario in tre minuti – ha dichiarato in un’intervista lo chef, senza peraltro manifestare né imbarazzo, né vergogna – a questo proposito ho chiesto ai calciatori di assumere una bevanda a base di zenzero e lime ogni mattina e in aggiunta Omega-3, semi di lino e melograno». Unanimi le perplessità, non tanto sull’efficacia, quanto sugli ingredienti: soprattutto gli amanti della vecchia canzone napoletana si sono chiesti, con Carosone, perché non aggiungere anche “glicerofosfato, diddittí, bicarbonato, borotalco e semi ‘e lino, grammi zero, zero, tre”? Caro Schuhbeck, pígliate ‘na pastiglia, siente a me.

S come solidarietà. Il mondo dello sport in generale non ha fatto mancare le iniziative di solidarietà e le raccolte di fondi, delle società e dei singoli atleti hanno raccolto, e in qualche caso c’è stata anche la distribuzione di generi di prima necessità. È partita anche la “Donation League”, il campionato della solidarietà fra i tifosi delle squadre di calcio italiane. Anche il Napoli è in prima fila ed ha orgogliosamente rivendicato una sorta di primogenitura nelle azioni di solidarietà: è infatti dall’inizio della stagione che paga lo stipendio a Llorente e Lozano.

T come timori. Sono quelli che prendono noi tutti di questi tempi: timore di ammalarsi, di non essere curati come si dovrebbe, di vedere ammalarsi i nostri cari, di dover restare in clausura a lungo e via via quelli estesi alla collettività, dal timore per la ripresa dell’economia a quello per il destino dell’Italia. C’è poi, tra gli altri, un timore che si sta facendo strada: quello dei possibili rischi per la salute mentale di chi fortunatamente non si ammala ma subisce comunque dei danni. E leggendo le recentissime dichiarazioni di Massimo Cellino, presidente del Brescia – una per tutte: «Capisco la situazione del Monza e del Benevento, gli daranno questi punti di bonus l’anno prossimo, cosa facciamo causa al Coronavirus? È colpa sua, non nostra» – il terribile timore si fa pericolosamente strada.

U come Uefa. È la federazione calcistica europea e insieme alla Fifa, la federazione mondiale, attraversa una fase di grande confusione. A onor del vero si muove fra le mille difficoltà legate all’attuale situazione di emergenza e deve vedersela con le paturnie e gli egoismi delle singole federazioni nazionali; ma si muove comunque modificando le proprie decisioni e soprattutto le proprie idee a seconda dell’interlocutore. È a favore della ripresa dei campionati, ma anche contraria appena intravede problemi; si dice d’accordo a un’ipotesi di taglio degli stipendi dei calciatori, ma frena appena arrivano le proteste dei rappresentanti degli atleti; sposta date e appuntamenti, ma li rimodifica appena sente un piccolo ruggito della Fifa; sostiene di badare agli interessi di tutti i campionati, in realtà bada solo a finire le coppe europee per gli interessi economici che muovono. Insomma, tutto e il contrario di tutto. Proprio quello che non serve in periodi del genere. Uè, Fa.. cci sapere cosa vuoi esattamente.

V come Valentino Rossi. Ma anche come Federica Pellegrini e tutti quegli atleti e quelle atlete che, visto il rinvio delle grandi manifestazioni, vediamo intonare sui giornali e in tivù sempre lo stesso ritornello, ovvero se lo stop forzato e la distanza temporale dai prossimi, possibili impegni, non li danneggerà fisicamente, magari costringendoli a smettere prima del tempo. Sono domande e dubbi importanti per loro, ci mancherebbe, che però per tanti di noi contano poco, e comunque non al punto di doverne leggere o ascoltare tutti i giorni. Valentino, Federica, fatevene una ragione: il tempo passa per tutti, ma noi lettori e spettatori vorremmo proprio cambiare passatempo.

Z come Zeman e Zenga. Non hanno niente in comune, il tecnico boemo e l’ex Uomo Ragno, e proprio per questo rappresentano il paradigma di quanto il calcio consenta visibilità a ogni tipo di atteggiamento e a tutte le opinioni. Zenga ha giocato a lungo nell’Inter e non ha mai detto una parola su certe dinamiche che, chissà perché, favoriscono sempre le grandi. Zeman ha invece sempre denunciato le storture del calcio italiano e le sue denunce in fondo gli sono costate la carriera. In panchina l’ex interista ha fatto finora molto poco, Zeman ha lasciato il segno. Due frasi a confronto. Il neo tecnico del Cagliari, che peraltro a causa dello stop non ha disputato neanche una gara ufficiale sulla panchina sarda, in un’intervista ha detto, fra l’altro: «Non vedo l’ora che si ricominci, il campo mi manca», anche se a giudicare dai risultati poco brillanti in quasi tutte le piazze nelle quali ha allenato, la sensazione è che invece lui non manchi quasi a nessuno. Per il boemo ha invece parlato Casiraghi: «Il mio miglior anno è stato quello con Zeman alla Lazio, il suo gioco offensivo avvantaggiava gli attaccanti. Con lui ho tirato davvero fuori il meglio». Il segno di Zeman ha lasciato tracce, come la zeta di Zorro sui pantaloni del sergente Garcia, quello di Zenga non s’è mai visto.