Antonio Ingroia: “La morte di Raffaele Cutolo? Il 41bis in questi casi è accanimento”

di Federica Olivo (huffingtonpost.it)

Parla l’ex pm antimafia: “Il carcere duro serve a spezzare rapporti con i criminali fuori, ma dopo decenni per detenuti malati andrebbe allentato”

“Se esiste l’ergastolo, è inevitabile che chi è condannato al ‘fine pena mai’ muoia in carcere. Ferma restando la detenzione, però, mantenere il 41 bis in certe condizioni mi sembra eccessivo”. Antonio Ingroia, oggi avvocato, ieri – per tanto tempo – magistrato antimafia a Palermo, interviene così, parlando con HuffPost, sulla morte di Raffaele Cutolo. Il boss della Nuova camorra organizzata è deceduto ieri sera per i postumi di una polmonite nel reparto sanitario del carcere di Parma.

Cutolo era molto malato da tempo, e nei mesi scorsi l’avvocato Gaetano Aufiero aveva presentato delle istanze di detenzione ai domiciliari. A maggio 2020 una di queste è stata rigettata perché non si ritenevano le sue patologie incompatibili col carcere e perché Cutolo, riteneva il magistrato, “esercitava ancora carisma” all’interno della criminalità organizzata. Così il don Raffaè ha finito i suoi giorni non solo in carcere – stava scontando l’ergastolo –  ma ancora al 41 bis, il regime di detenzione più dura. Proprio come era accaduto per Totò Riina e Bernardo Provenzano. Per quest’ultimo, però, l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, proprio perché aveva lasciato che, nonostante fosse molto malato e ormai non lucido, trascorresse i suoi ultimi giorni non solo in carcere, ma al regime più duro. All’indomani della morte di Cutolo, l’avvocato del capomafia siciliano, Rosalba Di Gregorio, all’AdnKronos dice: “La forza, la democrazia di una nazione non si dimostra mantenendo in carcere uomini vecchi e malati, ma applicando le regole del diritto. Vale per Raffele Cutolo e valeva per Bernardo Provenzano e tanti altri. La lotta alle mafie non può comportare l’accanimento su un corpo distrutto, da età e patologie. Questa è tortura”.

Ora come allora, il dibattito resta aperto. Ferme restando le condanne, le pene pesanti, l’indubbia complessità della questione, lo Stato come deve agire in casi come questo? Lasciar morire il boss (o ex boss) nella condizione di detenzione più dura, sebbene naturalmente garantendogli le opportune cure, o allentare il regime? Intorno a questi interrogativi si muovono i principi basilari dello stato di diritto e il significato più profondo di funzione della pena. Che non deve essere una vendetta, né un accanimento. Neanche nei casi dei boss più efferati e influenti. C’è chi è sordo a questi principi e trova giusto lasciar morire al 41 bis chi si è macchiato di reati molto gravi. Chi, invece, ritiene ciò inumano – come Patrizio Gonnella di Antigone – e ricorda: “Non bisogna avere paura di dimostrarsi debole nel far morire in una condizione di non totale abbandono una persona. Non entro nel merito della sua condizione di ricovero, ma il concetto vale per Cutolo come per chiunque altro”.

Ingroia si colloca nel mezzo, e ci dice: “Non conoscevo le condizioni di salute di Cutolo, ma lasciare una persona anziana e malata al 41 bis, oltre a dare l’idea che ci sia un accanimento, si snatura la funzione stessa del carcere duro”.

Cutolo è morto ieri sera a Parma, a 79 anni, per i postumi di una polmonite. Era anziano e molto malato, ma è comunque trascorso i suoi ultimi giorni in carcere, con il regime più duro, cosa ne pensa?

Sulla detenzione non ci sono dubbi. In Italia esiste la pena dell’ergastolo, il cosiddetto ‘fine pena mai’, quando si tratta di reati gravi come quelli commessi da Cutolo è inevitabile che si muoia in carcere. Quello che però mi sembra eccessivo, in casi come questo, con un detenuto anziano e malato, è il 41 bis. Anche perché in questo modo se ne snatura la funzione.

Qual è la funzione? E perché nel caso di Cutolo ormai non c’era più?

ll 41 bis serve a interrompere il canale comunicativo tra il capo e l’organizzazione mafiosa che resta fuori. A spezzare un vincolo. Ma nel caso di un boss (o, vista l’età che aveva e i decenni di detenzione alle spalle, dovremmo dire ex boss) che non è più operativo, il carcere continua a essere necessario. Il 41 bis no. Questa è una misura che andrebbe applicata per i mafiosi che sono operativi, attualmente pericolosi. Innegabile che per i primi tempi della detenzione di Cutolo sia stata indispensabile. Ma dopo decenni sarebbe stato coerente allentarla, ferma restando la detenzione. Altrimenti, se lo si applica in questo modo, il 41 bis rischia di essere un accanimento.

I più attenti alle garanzie del condannato potrebbero dire che costringendo al carcere duro una persona che sta molto male lo Stato realizza solo una vendetta…

Sicuramente in queste circostanze si assiste a un inasprimento della funzione retributiva della pena, che non risponde alle ragioni per cui il carcere duro è nato.

Questioni del genere si sono poste anche nei casi della morte di Riina e Provenzano. Per quest’ultimo l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Vicende abbastanza simili, non trova?

Uno degli ultimi atti che ho fatto da magistrato è stato andare a interrogare Provenzano, nel 2012. Già allora (Provenzano morirà nell’estate del 2016, ndr) era in condizioni psicofisiche precarie. Il caso di Riina ritengo fosse diverso: aveva certamente patologie, ma queste non ne compromettevano il carisma.

A proposito di carisma. Il giudice che l’anno scorso ha respinto l’istanza con cui l’avvocato di Cutolo chiedeva per lui i domicilari ha affermato, tra l’altro, che l’ex boss della Nco poteva esercitare ancora carisma sugli affiliati. Davvero è così? Davvero dopo decenni di 41 bis un boss può rientrare nei giochi e influenzare significativamente gli altri malavitosi?

Bisogna fare delle valutazioni caso per caso. Indubbiamente in un’organizzazione criminale il carisma dei capi conta. Ma se quest’ultimo è stato per decenni e decenni in carcere, e quindi per tanto tempo non ha più comandato, è difficile che possa influenzare in maniera incisiva le cose. 

Nel giro di pochi anni i boss più influenti della criminalità organizzata italiana sono morti. Provenzano, Riina, e ora Cutolo. Che significato ha il suo decesso per la Camorra?

Così come con la morte del ‘capo dei capi’ si è chiusa la stagione criminale dei corleonesi, con il decesso di Cutolo finisce la stagione che ha visto, per decenni, la Camorra come protagonista. L’organizzazione è stata tristemente influente non solo sul piano della criminalità organizzata, ma anche della politica, delle relazioni esterne. La Camorra oggi è ancora molto attiva sul territorio campano, muove tanti affari, ma assomiglia di più a un’associazione di tipo gangsteristico. Che non si incanta più intorno a figure criminali come Raffaele Cutolo