Antonio Ingroia presenta a Roma il suo nuovo libro: “Le Trattative”.

di Francesco Bertelli

C’è un misto di speranza e di amarezza dopo aver assistito alla presentazione dell’ultimo libro scritto da Antonio  Ingroia con Pietro Orsatti “Le Trattative. Dal Sistema criminale alla Trattativa Stato-mafia. Ventisei anni di attacchi ai pm e di ricerca della verità”, alla quale hanno partecipato il Presidente ed ex Direttore de Il Fatto Quotidiano Antonio Padellaro, il vignettista (e autore della copertina del presente libro) Vauro Senesi e l’ex collega e soprattutto grande amico di Ingroia il pm Nino Di Matteo.
C’è speranza perchè, come sottolineato più volte da Ingroia, siamo appena usciti da anni di battaglie giudiziarie le quali alla fine <<hanno dato come risultato due sentenze che devono essere considerate epocali”: la sentenza di primo grado sullaTrattativa Stato-mafia in cui <<per la prima volta sono stati condannati insieme vertici dei servizi segreti, vertici di Cosa Nostra e pezzi delle istituzioni>>
L’altro fatto “epocale” è fresco di cronaca: le motivazioni sul processo “Borsellino quater” in cui i giudici hanno messo nero su bianco l’evidenza di uno <<dei più grandi depistaggi della nostra storia>>, come ha sottolineato Ingroia stesso, concentrando l’obiettivo sul lavoro sporco messo in atto da uomini dello Stato nei giorni immediatamente successivi all’esplosione della 126 in Via D’Amelio, con il cadavere di Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta straziati e fumanti sull’asfalto.

Ma c’è anche amarezza e nelle parole di Antonio Padellaro la si può intravedere in tutta la sua durezza: <<lo dico francamente>> ha iniziato il Presidente de Il Fatto Quotidiano << e mi dispiace , ma va detto: quel grande successo di raccolta di firme che ottenemmo nel 2012 e consegnammo ad Ingroia e Di Matteo dopo quel conflitto di attribuzione sollevato dall’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napoliano, oggi sarebbe irripetibile.>> Il perchè è tristemente vero: perchè nel Pese un senso, purtroppo, comune, quasi di << disinteresse su certi argomenti , e vi assicuro che è percepita così anche in molte direzioni di importanti mass media, come se la mafia e i rapporti con la politica e la morte di Paolo Borsellino venissero considerati roba vecchia e non più prioritaria>>.

Toccante e riflessivo anche l’intervento di Vauro: un’analisi attenta e precisa su un’idea di Stato <<che attualmente non c’è anche perchè siamo tornato molto indietro, finendo per mettere in discussione i diritti sociali, usando la paura. Paura che è lo strumento che utilizza la mafia e la accomuna allo Stato>>.

Nel libro Antonio Ingroia rivela alcune vicende nuove, prima fra tutti, l’incontro informale che ebbe subito dopo la morte di Borsellino con l’allora Procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra: << mi sono fidato ingenuamente, ero ancora agli inizi>> ha proseguito l’ex magistrato << e ho dato fiducia a quell’istituzione che il Dottor Tinebra ricopriva con il suo ruolo. In quell’incontro informale gli raccontai quello che sapevo sulle intenzioni che Borsellino aveva di indagare a fondo sulla strage di Capaci, cosa che stava facendo, anche intorno alla figura di Bruno Contrada. Salvo poi scoprire solo dopo che Tinebra aveva affidato allo stesso Contrada e ai suoi uomini (Tinebra in primis) l’incarico di indagare sulla strage di Via D’Amelio. E io mi sarei aspettato dopo questo, un’indagine>>.

Ma Ingroia torna a parlare anche dell’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e di quel conflitto di attribuzione; <<gesto legittimo , per carità, ma che ha sancito un avvertimento: o state con me o state contro di me. E non voglio definire tale conflitto come una pietra tombale, ma siamo su quella linea. Dopo di esso>> ha continuato l’ex magistrato << la magistratura non ha più fatto passi in avanti e non tutto è stato scoperto su quella trattativa perchè altri soggetti coinvolti non sono stati individuati, ma sono protetti dallo Stato>>.
Inoltre fatto che è emerso durante il dibattito, l’ex magistrato ha reso noto il suo incontro avuto con il Presidente della Camera Roberto Fico, il quale si è preso a cuore la vicenda della scorta tolta ad Ingroia e che ha riempito le cronache di alcuni media nei giorni scorsi. Ingroia ha anche proposto al Presidente Fico di istituire una Commissione di Inchiesta ad hoc che possa chiarire i misteri sulla Trattativa e sul depistaggio di Via D’Amelio.

Infine Nino Di Matteo, padre insieme ad Ingroia dell’inchiesta che ha portato al processo sulla trattativa Stato-mafia, si è voluto togliere qualche sassolino dalla scarpa, soprattutto in riferimento a quel gran parlare, nelle ultime ore, delle responsabilità di quei magistrati che nel 1994 avallarono le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino (il falso pentito che si era autoaccusato di essere stato lui l’autore della strage di Via D’Amelio), senza mai precisare i nomi di quei magistrati, tranne appunto, quello di Nino Di Matteo stesso. <<Io sono subentrato due anni e tre mesi dopo l’arresto di Scarantino. Il depistaggio è cominciato nel 1992 e io sono arrivato solo nel 1994 e non mi sono occupato del Borsellino uno, ma solo di una piccola parte dibattimentale del Borsellino bis. Ma di quella famosa lettera che scrisse la Boccassini, in merito alla difficile credibilità delle dichiarazioni dello Scarantino a me , quella lettera, mai mi venne consegnata. Perchè non viene mai detto, in relazione a quella parte del Borsellino bis a cui ho partecipato, che chiesi l’assoluzione di 4 soggetti su nove, che erano stati coinvolti dalle dichiarazioni di Scarantino, salvo poi venire condannati dai magistrati che sono subentrati dopo di me. Perchè tutto questo non lo si è mai detto?>>

Francesco Bertelli