Deposito nazionale unico scorie nucleari, monta la protesta nelle regioni individuate. Dove sono stoccati attualmente?

di Alessio Di Florio

Scorie nucleari, due parole che rimandano a passati ormai remoti della storia italiana. Resti della ingloriosa e breve stagione delle centrali nucleari, eredità scomoda che l’Italia non è mai riuscita a gestire adeguatamente. La quasi totalità dei rifiuti radioattivi è finita all’estero, una gran massa è ancora in attesa di una destinazione definitiva. Nel 2003 il governo Berlusconi individuò Scanzano Jonico come sede del deposito unico nazionale, la fortissima e tenace protesta della cittadinanza in 14 giorni lo costrinse a tornare indietro. E tutto si è fermato per oltre tre lustri. Fino alle scorse settimane, quando sono state rese pubbliche le mappe della Sogin sui siti tra cui dovrebbe essere scelto il sito del deposito unico nazionale. Sicilia, Sardegna, Puglia, Lazio, Basilicata, Toscana e Piemonte, una di queste regioni verrà scelta come sede. Scorrendo l’elenco colpisce subito un dato: con l’eccezione del Piemonte e della Toscana la totalità dei siti sono stati individuati nell’Italia del sud e le isole.
La scelta non è ancora definita: come si può leggere sul sito https://www.depositonazionale.it/ le mappe sono state rese note nell’ambito della “consultazione pubblica per l’avvio della procedura per la localizzazione, costruzione ed esercizio del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e Parco Tecnologico”. A partire dal 5 gennaio è iniziato il periodo di 60 giorni entro cui tutti i cittadini (in forma individuale o collettiva) possono inviare “osservazioni e proposte tecniche in forma scritta” che contribuiranno all’iter di individuazione del sito. Come 17 anni fa la partita è quindi solo all’inizio e nessuna decisione è (ancora) scolpita nella pietra. Alla notizia della pubblicazione delle mappe è montata la protesta in diversi luoghi indicati. In Sicilia è nato il Comitato “Dalla parte giusta – Da Segesta NO al nucleare”, promosso e sostenuto anche da Azione Civile, che è possibile seguire e sostenere sulla pagina facebook https://www.facebook.com/Comitato-NO-ai-rifiuti-radioattivi-a-Calatafimi-Segesta-104919204891337/ . Il 5 gennaio Antonio Ingroia ha pubblicato un primo video appello https://www.facebook.com/avvocatoantonioingroia/posts/445015870213553 “allle comunità di cittadini, a partire da Calatafimi-Sagesta in Sicilia” per opporsi con tutte le forze a “questa infame decisione di depositare le scorie nucleari radioattive in territori incontaminati, a partire da Calatafami-Sagesta”. Le cui bellissime campagne, aggiunge il fondatore e presidente di Azione Civile (e direttore di Giustizia), e ambiente dovrebbero essere tutelate e valorizzate e non “condannate a morte”. Ingroia ha quindi invitato alla mobilitazione e all’adesione al Comitato di opposizione costituito nelle ore precedenti contro “questo ennesimo attentato alla salute nostra, del nostro territorio e della nostra economia”. Azione Civile Sicilia e Ingroia hanno definito la notizia dei siti individuati in Sicilia come “una doccia gelata” calata dall’alto esprimendo un fortissimo NO “ai rifiuti tossici in angoli di Sicilia che costituiscono Patrimonio dell’umanità. Nelle zone individuate in cui rientrano Trapani, Calatafimi-Segesta, l’area tra Castellana Sicula e Petralia Sottana, Butera, oltre alle indiscutibili ripercussioni ambientali e con gravi ricadute negative sulla salute di cittadini/e, provocherebbe un danno irreversibile a territori a vocazione prettamente turistica ed agricola. Ricchi di beni comuni naturali ed archeologici che il mondo ci invidia”. Il movimento politico ha lanciato un appello ai cittadini per “ribadire con forza il nostro NO AI RIFIUTI RADIOATTIVI attraverso la costituzione di Comitati di Resistenza in tutta la Sicilia, in tutta Italia a partire da Calatafimi Segesta”. La mobilitazione ha lanciato anche una petizione che è possibile firmare e sostenere qui https://www.change.org/p/dalla-parte-giusta-da-segesta-no-al-nucleare?utm_content=cl_sharecopy_26863486_it-IT%3A0&recruiter=1174487863&utm_source=share_petition&utm_medium=copylink&utm_campaign=share_petition . “Vogliamo rafforzare il NO deciso da subito e fermare questo disegno folle. Vogliamo schierare dalla parte giusta tutte le forze sociali, le associazioni, i singoli cittadini, le imprese turistiche e le associazioni di categoria in un unico grande blocco sociale – scrivono i promotori nel testo della petizione – I territori di Segesta, culla della civiltà potrebbero trasformarsi nel cassonetto nucleare dell’Italia. Solo pensare questo farebbe rabbrividire chiunque. Zone sismiche, pericolosità conseguente dell’impianto e le infiltrazioni mafiose potrebbero creare una nuova terra dei fuochi nucleare”. Primo sostenitore della petizione è Antonio Ingroia, cittadino onorario di Calatafami-Sagesta: “diversi anni fa – scrive l’ex pm e oggi avvocato antimafia, collaboratore di Paolo Borsellino, presidente di Azione Civile e direttore di Giustizia – mi è stata conferita la cittadinanza onoraria di Calatafimi-Segesta. A nome di tutti i cittadini del comune e del comprensorio quindi mi faccio interprete di questa esigenza urgente e sottoscrivo questa petizione. La mia famiglia è originaria di Calatafimi-Segesta e trascorro qui buona parte dell’anno in questa splendida terra che oggi però rischia di essere deturpata”. 
In Sardegna, sottolinea un altro comunicato di Azione Civile, le aree individuate come potenzialmente idonee sono 14: “quattro siti sono nella provincia di Oristano e 10 in altri comuni nel Sud Sardegna”. Il movimento sottolinea che “al referendum di Maggio 2011 con oltre il 97% di contrari la Sardegna rispose no a centrali e depositi di scorie nucleari”, “ribadisce con fermezza il NO al deposito di scorie radioattive” e chiede “che tutta la politica isolana si batta per rivendicare l’esito del passato referendum a tutela della salute del popolo sardo e del patrimonio ambientale che rappresenta il fiore all’occhiello della nostra isola”. Il ministro Costa, ricorda il comunicato, “nel 2018 asseriva «Per il deposito nazionale delle scorie nucleari penso dobbiamo escludere zone come la Sardegna che comportino il passaggio del materiale attraverso il mare, con rischi ambientali inutilmente grandi»”. Alla valutazione tecnica, secondo Azione Civile, deve seguire una valutazione politica: “la Sardegna da sempre terra di conquista deve rivendicare il patrimonio storico – culturale e ambientale unico nel suo genere, sia nel panorama nazionale che in quello dell’intero bacino del mediterraneo. Proprio in questi giorni la Sardegna ha chiesto che l’Unesco ne riconosca la specificità storica,culturale e ambientale, un progetto che è in netto contrasto con la questione espressa da Cnapi sui rifiuti nucleari”

IN ATTESA DEL DEPOSITO UNICO NAZIONALE QUALE LA SITUAZIONE?
L’avvio della consultazione pubblica per l’individuazione del sito dove costruire il deposito unico nazionale riapre tanti interrogativi e fa riemergere tutta l’inadeguatezza della gestione governativa di questi decenni. Una gestione che non è mai riuscita ad affrontare finora la questione delle scorie degli anni ottanta (e qualcuno dieci anni fa voleva pure avviare una nuova stagione nucleare!), la cui eredità pesa ancora su tutta la collettività e su alcuni territori in particolare. Solo due anni fa l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione completò l’Inventario nazionale dei rifiuti radioattivi, un documento di 67 pagine pubblicato qui https://www.isinucleare.it/sites/default/files/contenuto_redazione_isin/inventario_isin_al_dicembre_2017.pdf . Nonostante il 95% del combustibile irraggiato dalle centrali nucleari dismesse sia finito in Francia e Gran Bretagna sono 16 le tonnellate ancora presenti in Italia, stoccate nei depositi Itrec di Trisaia a Rotondella (Matera), Opec 1 della Casaccia (Roma), Ccr di Ispra(Varese), Lena nell’università di Pavia, Triga Tc 1 della Casaccia (Roma). Il combustibile irraggiato è il rifiuto rimosso dal reattore che può diventare una risorsa riutilizzabile o essere destinato allo smaltimento. Secondo quanto reso noto dall’ISIN (la sigla dell’ispettorato che ha curato l’inventario nazionale) il Piemonte ne deteneva la gran parte, seguito da Lombardia, Basilicata e Lazio. Su 30.497,3 metri cubi di rifiuti il 30,30% era stoccato nel Lazio, seguito dalla Lombardia (19,26%), dal Piemonte (16,73%), l’Emilia Romagna (10,53%), la Basilicata (10,33%), la Campania (9,55%) e la Puglia (3,3%). Quest’ultima regione è però uscita successivamente dalla lista dopo la dismissione del deposito Cemerad di Taranto, 16.500 fusti contenenti rifiuti radioattivi che erano di fatto abbandonati in un capannone con il tetto di lamiera abbandonato nell’area industriale di Statte, pochi passi dall’Ilva.