Esplosione che uccise tre operai in stabilimento che lavora anche con Esercito e Nato, i precedenti e l’interrogazione parlamentare del 1994 rimasta senza risposta

di Alessio Di Florio

Abbiamo ripercorso nei nostri precedenti articoli quanto avvenuto dopo l’esplosione del 21 dicembre 2020 alla Esplodenti Sabino di Casalbordino che uccise 3 operai. Non è stato, purtroppo, quanto accaduto un unicum nella storia di questa ditta, specializzata in alcune lavorazioni con materiale esplodente e che collabora anche con l’Esercito italiano e la Nato. L’ultimo gravissimo precedente, che causò gravissime ustioni ad un operaio di San Salvo, all’interno dello stabilimento è avvenuto nell’ottobre 2009. Poco dopo mezzogiorno un forte boato proveniente dall’interno dell’azienda scosse l’aria. Secondo la ricostruzione dell’epoca durante l’inertizzazione di un razzo militare luminoso una miscela pirica, a contatto con l’aria, esplose provocando una violenta fiammata. Il quotidiano Il Centro, principale quotidiano abruzzese, nell’edizione del 13 ottobre riportò che l’esplosione era avvenuta in un piazzale dello stabilimento aggiungendo «ed è stata una fortuna che l’incendio non sia riuscito a raggiungere il fabbricato, “se ciò fosse avvenuto l’incidente avrebbe potuto avere proporzioni apocalittiche” sostengono i soccorritori». Nelle ore successive all’incidente di quest’anno lo stesso quotidiano, sul proprio sito web, ha riportato che il titolare dello stabilimento, dopo l’incidente di undici anni fa, sarebbe stato indagato «per lesioni gravissime e violazione delle normative antinfortunistiche». Indagini di cui non si hanno ulteriori riscontri ed eventuali sviluppi successivi.
Nel 1992 l’esplosione di una spoletta uccise un operaio, all’interno di una cava a Rapino durante un’operazione di inertizzazione di residui bellici persero la vita altri due operai quattro anno dopo: si legge in un articolo di Repubblica del 4 aprile 1996 « la deflagrazione è avvenuta all’interno di un fornello: almeno cento chili di una miscela di tritolo e T4 e parti di spoletta che non sarebbe stato possibile inertizzare in fabbrica». Secondo quanto riportato in quell’articolo «La Esplodenti Sabino è coinvolta in un’inchiesta avviata alcuni anni fa dalla Procura di Vasto per un’ esplosione avvenuta in un suo deposito. Due dirigenti di allora – poi usciti dall’ azienda – furono arrestati in seguito perché fu trovato esplosivo sotterrato nel terreno circostante». Qualche anno dopo un operaio ebbe gravi danni alla vista durante un altro incidente in fabbrica. Dovette lasciare il lavoro ed ottenne un forte risarcimento per i danni subiti.
Un’ altra esplosione avvenne nello stabilimento di Noceto (Parma) nel 2015: nell’occasione, riportò Repubblica, il proprietario disse a caldo di essere in attesa di poter parlare con i suoi operai per «capire cosa è successo». «Può capitare durante la lavorazione» le parole riportate sempre da Repubblica riferendosi alla pericolosità delle operazioni di demilitarizzazione svolte. Una versione diversa fu fornita dai sindacati emiliani che, già immediatamente dopo l’esplosione, puntarono il dito sulla ditta: «procedure di sicurezza, mai dato chiarimenti» scrissero in un comunicato stampa.  
Tra i primi a prendere posizione, presentando anche un esposto alla Procura della Repubblica di Vasto, c’è stato il segretario nazionale di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo. In un comunicato Acerbo ha anche ricordato l’interrogazione presentata nel 1994 in Parlamento dal Prc. Il 20 ottobre 1994 Antonio Saia presentò un’interrogazione ai ministri della difesa, degli affari esteri, del commercio con l’estero, dei trasporti e della navigazione e di grazia e giustizia. Consultando l’archivio della Camera dei Deputati l’iter dell’interrogazione, 26 anni dopo, viene testualmente riportato «in corso». Erano gli anni post crollo dell’URSS, con moltissimi armamenti sovietici che furono trafficati nel mondo, della guerra nei Balcani che portò ad un fortissimo incremento del traffico di armi, in quei mesi furono assassinati in Somalia Ilaria Alpi e Miran Hrovatin mentre stavano indagando sui traffici italiani nel paese africano. L’attenzione era quindi alta su temi inerenti esplosivi (erano tra l’altro passati solo due anni dalle stragi di mafia in Sicilia e un anno dagli attentati di mafia e non solo in varie città italiane) e simili, ma l’onorevole Saia non ha mai avuto la possibilità di ottenere una risposta. L’IRES, organismo internazionale per lo studio del traffico internazionale di armi, aveva evidenziato «che dai porti abruzzesi negli ultimi anni sarebbero stati esportati grandi quantitativi di armi ed esplodenti, destinati alle aree calde del mondo, sia direttamente sia attraverso passaggi intermedi; in particolare, tra l’altro, attraverso un terzo Paese, i destinatari principali del traffico d’armi sarebbero stati il Medio Oriente e la ex-Jugoslavia». Un traffico che «si sarebbe svolto attraverso i porti di Pescara, Ortona (CH) e Vasto (CH) e coinvolgerebbe in qualche modo anche la fabbrica Valsella di Brescia che avrebbe fornito l’esplosivo – sottolineavano gli autori dell’interrogazione – misteriosamente scomparso, alla Sabino Esplodenti che era autorizzata anche allo stoccaggio». Saia e i suoi colleghi parlamentari riportarono che era in corso un’indagine dopo la «misteriosa scomparsa di dieci tonnellate di esplosivo T4 e per accertamenti riguardanti le condizioni di sicurezza» sempre secondo l’Ires e che il presunto «traffico di armi» interessava anche sospetti dell’invio di esplosivi in Olanda da dove «armi ed esplodenti» (secondo accuse delle dogane svedesi) sarebbero stati inviati nell’area del Golfo.  Dai ministri interrogati non giunse mai nessuna risposta e, oltre il testo dell’interrogazione di Saia presente negli archivi online parlamentari, non risulta esserci nessuna traccia e nessun riscontro.