In ricordo di Felicia Bartolotta Impastato. Dalla lotta perché Peppino avesse giustizia al fiorire dell’antimafia sociale
di Alessio Di Florio
7 Dicembre 2004-7 Dicembre 2019.
Son già passati, ma il ricordo resterà per sempre indelebile, dal giorno in cui arrivò la triste notizia della dipartita terrena di Felicia Bartolotta Impastato. La madre di Peppino diventata, soprattutto dopo il suo assassinio su ordine di Tano Badalamenti, simbolo della lotta per la giustizia e contro l’oppressione mafiosa. Una lotta, in realtà, iniziata immediatamente dopo il matrimonio. Quando disse al marito Luigi “stai attento, perché gente dentro non ne voglio. Se mi porti qualcuno dentro, che so un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre. … Non faccio entrare nessuno”. E dalla madre ci tornò ribellandosi a quello che definì un inferno, quando nel periodo della banda Giuliano spesso i carabinieri bussavano all’uscio di casa. In una società patriarcale, perbenista, omertosa fu la prima rottura dei codici borghesi mafiosi. Proseguita quando si trovò a difendere Peppino dal marito che lo cacciò di casa dopo l’inizio della militanza politica e della lotta contro i potentati mafiosi e politici.
Felicia rifiutò in casa i mafiosi ma, dopo l’assassinio di Peppino, aprì le porte di casa a giovani e meno giovani impegnati nell’attività politica, sociale, nella solidarietà e nella denuncia di mafiosi e potenti. Troppo spesso si è abusato del termine “antimafia sociale”. Le scelte di Felicia, i percorsi politici che si sono incontrati e intrecciati dietro quella porta aperta, sono la dimostrazione incarnata che aggiungere l’aggettivo sociale al termine antimafia non serve. Perché denunciare e lottare contro le mafie è un’attività sociale, politica di suo. E senza perderebbe la sua essenza. Le trame, i depistaggi, i potentati svelati dopo l’assassinio di Peppino Impastato, nell’attività del Centro Siciliano di Documentazione, di Casa Memoria, della sua famiglia e dei suoi compagni e delle tantissime esperienze fiorite negli anni documentano quanto la mafia non è solo una formale violazione di leggi dello Stato. Ma soprattutto un sistema di potere, di malaffare, di ingiustizia e oppressione. Denunciare, documentare, destruttura e combattere tutto questo è la massima attività sociale possibile, è politica, è militanza viva ed appassionata. Ai giovani che ha accolto per decenni in casa Felicia ripeteva sempre di tenere la testa alta e la schiena dritta. Come quotidianamente fa chi non si amalgama al sistema, chi non accetta e rifiuta le clientele, la politica della raccomandazione e del più forte, del malaffare e dei potentati che piegano l’interesse pubblico. Quel marcio che, quindici anni dopo, vediamo volgarmente in azione ogni giorno, nelle “fondazioni” che oliano certi meccanismi e rendono benevoli i signori delle stanze dei bottoni, nei clan che opprimono – nel deserto delle piazze e delle strade – porzioni del territorio, nelle multinazionali che devastano e impoveriscono ad ogni latitudine trasformando ogni bene che dovrebbe essere comune in profitto e mercato sfrenato, nei più turpi traffici e tratte che fioriscono nelle periferie e nel cuore delle città italiane, europee e di tutto il mondo.
Un’altra frase che ha sempre ripetuto ai giovani e a coloro che gli chiedevano come si combattono le mafie e si può prendere esempio da Peppino era di studiare e conoscere, così da capire cosa è giusto e cosa non lo è. Parole che si possono accostare al monito gramsciano di studiare perché c’è bisogno di tutta l’intelligenza possibile. Quell’intelligenza che documenta, illumina le zone grigie e può così lottare contro tutto quello che si è riportato in quest’articolo e moltissimo altro. E capire cosa è giustizia e cosa non lo è. E si torna così al punto di partenza, l’antimafia è politica, è sociale, E’ una lotta quotidiana per la libertà e la giustizia, per spezzare le catene dell’omertà e del dominio di pochi su tutti gli altri.
Felicia Bartolotta Impastato diceva sempre che non poteva morire senza vedere giustizia per Peppino. E, dopo decenni di delusioni, archiviazioni, di speranze svanite grazie all’impegno del giudice Franca Imbergamo è arrivata la condanna di Tano Badalamenti. E l’insegnamento che con la sua vita, tenace, costante e coraggiosa, ci ha quotidianamente donato. Ed è un monito, davanti a chi si arrende, a chi si conforma, a chi trova mille e più scuse per immergersi nei meccanismi del sistema mafioso e non lottare. E che, come disse Giovanni Falcone, la mafia è un fenomeno umano e quindi destinato – prima o poi – a sparire.