Nuovo incarico per un protagonista del commissariamento emergenza rifiuti campana. Nel mese dell’anniversario di Roberto Mancini
di Alessio Di Florio
Il 30 aprile 2014, dodici anni dopo aver scoperto di essersi ammalato di linfoma non Hodgkin, è morto Roberto Mancini. È stato il primo poliziotto ad indagare e documentare la terra dei fuochi, lo sfruttamento criminale e devastante della Campania da parte della camorra con imprenditori altrettanto criminali (anche del nord che inviarono in Campania immense quantità di rifiuti di ogni tipo) e il sostegno di pezzi infedeli dello Stato, politici, servizi segreti e massoneria. Abbiamo già raccontato su Giustizia le principali inchieste di Roberto quasi un anno fa riportando la notizia delle condanne in appello per la gestione della discarica resit (http://www.lagiustizia.info/sentenza-dappello-per-la-discarica-su-cui-indago-roberto-mancini-il-primo-a-scoprire-la-terra-dei-fuochi/ ), gestita da Cipriano Chianese e tra i simboli di quella criminale stagione. “Se qualcuno avesse preso in considerazione la mia indagine forse non ci sarebbe stata Gomorra” dichiarò Roberto Mancini nel 2013 a cui aveva dedicato tanti anni della sua vita, arrivando ad ammalarsi in quelle discariche e in quei terreni avvelenati, fino all’ultimo giorno. Letteralmente. pochi giorni prima della morte ad un amico che gli disse di riposare, di pensare a se stesso e alle sue condizioni rispose con forza “ma che te stai ad amalgamà? Non è finito un cazzo”. Quasi un testamento, parole forti di chi non si è mai voluto arrendere e mai ha dimenticato il marcio, il crimine più spietato, le migliaia di vittime.
Dieci anni prima delle parole amareggiate di Roberto Mancini che abbiamo riportato la Campania era nel pieno di una violenta emergenza rifiuti e in quei mesi, come scrisse Rosaria Capacchione su Il Mattino nel 2011, ci fu la resa dello Stato: “in quei mesi del 2003, quando (tanto per cambiare) si cercavano affannosamente fosse e buchi nei quali depositare i rifiuti che si accumulavano nelle strade napoletane, che gli uomini dello Stato incontrarono la camorra. Una riunione ufficiale, con i dirigenti del commissariato di governo, Massimo Paolucci e Giulio Facchi, che scesero a patti con un gruppetto di imprenditori in odor di mafia… Le discariche c’erano, erano piuttosto illegali, e appartenevano a Cipriano Chianese, Gaetano Vassallo, Elio e Generoso Roma: nomi di uomini poi diventati assai noti alle cronache giudiziarie che trattano di ecomafia. Fu in quella giornata – era primavera – del 2003 che il destino di Villa Literno, e delle vicinissime Giugliano e Parete, fu definitivamente segnato”.
Giulio Facchi, tra i protagonisti dell’incontro raccontato da Rosaria Capacchione, è stato assolto nel processo in cui l’anno scorso è arrivata la condanna in appello per Cipriano Chianese. Massimo Paolucci non è mai stato neanche oggetto di denunce, mai nessun rilievo è stato sollevato ai suoi atti. “Paolucci che – fatto curioso –, non avendo mai firmato direttamente gli atti e preferendo lasciare l’incarico al presidente commissario Bassolino o al vice Giulio Facchi, durante gli anni al vertice del Commissariato, esce indenne dalle indagini” raccontano Tommaso Sodano e Nello Trocchia nel libro “La Peste” pubblicato nel 2010 “anche se è l’uomo che in prima persona stringe patti, tiene relazioni con imprese private, con la Fibe e con gli amministratori locali e per la gestione del sistema delle assunzioni negli impianti di Cdr. Una lista lunga, quasi interminabile, di santi in paradiso e di segnalati che danno la misura di cosa sia stato effettivamente il Commissariato: un luogo di spartizione, di spesa allegra, un eldorado di spreco e inefficienza”.
Quasi vent’anni dopo Paolucci, è ancora protagonista della scena politica nazionale. L’anno scorso fu candidato, come indipendente proveniente da Mdp-Articolo1/Leu, nelle liste del PD alle elezioni europee. Non venne eletto e a settembre Roberto Speranza, ministro della salute in quota sempre Mdp-Articolo1/Leu nel governo giallorosa Conte bis, lo nominò nella sua segreteria. Il primo aprile scorso, proprio nel mese che si conclude con l’anniversario della morte di Roberto Mancini, Paolucci è stato nominato global advisor della struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri per l’attuale emergenza sanitaria. Ha in mano praticamente la cassa di quella che dovrebbe essere (anche se ormai nella giungla di commissari, task force, commissioni tecnico-scientifiche e sicuramente qualcos’altro che ci stiamo dimenticando è quasi impossibile districarsi) la principale struttura istituzionale contro la pandemia del nuovo coronavirus. Dopo diversi giorni di totale silenzio la notizia è stata resa nota sul suo profilo facebook da Nello Trocchia. Sono passate ulteriori settimane e, tranne rare sporadiche reazioni locali campane, nessuna forza di quello che una volta si definiva arco costituzionale è intervenuta, silenzio assoluto mediatico, l’unica voce che si è levata a livello nazionale è stata Azione Civile. Sconcertante che sia stato fatto riemergere anche Paolucci – l’indignata critica di Azione Civile – dopo Bertolaso, i cui risultati da commissario straordinario in Lombardia chiamato da Fontana “sono sotto gli occhi di tutti: l’ospedale alla Fiera di Milano annunciato per svariate centinaia di posti si è poi ridotto a poco più di venti e non è mai stato utilizzato. Ma inaugurato in pompa magna con un assembramento finito su tutti i media nazionali. Milioni di euro delle casse pubbliche e delle donazioni dei cittadini che potevano avere migliore destinazione”. Dopo aver “dimenticato” le sue indagini e lui stesso in vita (come ricordò la madre nei mesi finali in cui Roberto Mancini lottò contro la malattia non arrivò neanche una telefonata dalle istituzioni che si mostrarono solo il giorno del funerale occupando letteralmente la chiesa con fiori e corone), e averlo riconosciuto come vittima del dovere solo dopo un’ampia mobilitazione popolare con mesi di ritardo (in un primo momento era stato riconosciuto solo un risarcimento di cinquemila euro), “nelle settimane in cui più le istituzioni dovrebbero ricordarlo arriva invece ben altro da chi sembra averlo oggi dimenticato, oltre a non averlo sostenuto in passato” sintetizza quanto sta accadendo il comunicato di Azione Civile sottolineando “che Paolucci sia rimasto immune da indagini penali poco rileva. La responsabilità penale, che qui non è in discussione, è un conto, la responsabilità politica è altra cosa e non va calpestata come in questo caso”.