USCITE LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA ‘NDRANGHETA STRAGISTA: “MANDANTI POLITICI DIETRO GLI ATTENTATI EVERSIVI, FATTI PER EVITARE L’AVVENTO AL POTERE DELLE SINISTRE”.

di Marco Gerardi

Sono uscite pochi giorni fa le motivazioni della sentenza di primo grado del processo “‘Ndrangheta stragista”, con cui sono stati condannati all’ergastolo i boss Giuseppe Graviano (uomo di vertice di Cosa Nostra, condannato anche per le stragi del 1992 e del 1993, nonché per l’omicidio di don Pino Puglisi) e il boss di ‘ndrangheta Rocco Filippone, ritenuti colpevoli dell’omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo -compiuto in Calabria il 18 gennaio del 1994 – e degli agguati avvenuti sempre a danno dell’Arma alla fine del 1993.
Ovviamente la notizia è stata oggetto di indifferenza da quasi tutti i media nazionali, ma quello che sta accadendo in questi giorni non deve essere motivo di disinteresse nei confronti di fatti sconvolgenti come questo. Il processo in questione è importante non solo perché ci fa notare come nel contesto stragista di quegli anni avesse avuto un ruolo pure la criminalità organizzata calabrese, bensì anche perché è un ulteriore stimolo giudiziario per continuare ad indagare su quanto avvenuto allora.
Secondo i giudici della Corte d’Assise di Reggio Calabria, quegli attentati contro i militari non devono essere considerati come episodi isolati, ma devono essere ritenuti come inseriti nel contesto stragista di attacco allo Stato, facendo parte di una “comune strategia eversivo-terrorista”. Strategia che deve essere letta alla luce di quanto stava accadendo in quel periodo storico: invero, come ha scritto la Corte, “i fatti, in questo procedimento, sono parte della storia italiana e quindi è impossibile valutarli correttamente senza tenere conto del contesto in cui si inseriscono”.  Infatti, con la caduta del Muro di Berlino stava avendo fine il regime sovietico; anche in Italia, di conseguenza, stava cambiando il quadro politico, con Tangentopoli ed il crollo dei partiti tradizionali.
Secondo i giudici calabresi, quegli attentati contro i carabinieri “sono da considerarsi un antecedente necessario del più eclatante attentato che si sarebbe dovuto compiere, nelle intenzioni del Graviano, a distanza di pochi giorni, in un crescendo che si colloca all’interno di una strategia omogenea e unitaria”. L’eclatante attentato era quello allo stadio Olimpico, che sarebbe dovuto avvenire pochi giorni dopo ai danni di decine di carabinieri, fortunatamente non andato in porto. Il tutto “in un momento in cui le organizzazioni erano alla ricerca di nuovi e più affidabili referenti politici, disposti a scendere a patti con la mafia, che furono individuati nel neopartito Forza Italia di Silvio Berlusconi, in cui erano confluiti i movimenti separatisti nati in quegli anni come risposta alle spinte autonomistiche in Sicilia e in Calabria”.
Ciò che si ricava è che dietro tutto ciò non vi sono state solo le organizzazioni criminali, ma anche tutta una serie di soggetti provenienti da differenti contesti (politici, massonici, servizi segreti), che hanno agito al fine di destabilizzare lo Stato per ottenere anch’essi vantaggi di vario genere, approfittando anche di un momento di crisi dei partiti tradizionali”.
Dunque, “appare piuttosto probabile” che dietro le stragi “vi fossero dei mandanti politici che attraverso la strategia della tensione volevano evitare l’avvento al potere delle sinistre, temuto anche dalle organizzazioni criminali, che erano riuscite con i precedenti referenti politici a godere di benefici e agevolazioni”. Pertanto, all’inizio degli anni novanta, “si era venuta a creare una sorta di convergenza di interessi tra i vari settori che hanno sostenuto ideologicamente la strategia stragista di Cosa Nostra. Anche con riferimento alla identificazione di tali soggetti, compito certamente non agevole in considerazione altresì del lungo lasso temporale decorso rispetto ai fatti in esame, si impone quindi la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica”.
Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici parlano finanche dell’incontro avvenuto all’interno del bar Doney di via Veneto pochi giorni prima del fallito attentato all’Olimpico del 23 gennaio 1994, tra Giuseppe Graviano e il suo uomo di fiducia Gaspare Spatuzza – ora collaboratore di giustizia, ritenuto più volte attendibile. Quest’ultimo ha affermato che il boss gli aveva mostrato “la sua felicità per il fatto di essere riuscito ad ottenere ‘tutto quello che cercava’, con ciò facendo riferimento a Berlusconi, ‘quello del Canale 5’. Aggiunse che in mezzo c’era il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia”. Durante il processo, la Procura ha dimostrato che negli stessi giorni dell’incontro di via Veneto su citato, a poche centinaia di metri dal bar Doney, Dell’Utri si trovava nella Capitale presso l’hotel Majestic, dove si svolgeva una convention di Forza Italia. È possibile che Dell’Utri e Graviano si siano visti nei giorni precedenti? La Corte d’Assise calabrese crede che “può ragionevolmente ritenersi che il Graviano il 21 gennaio 1994, prima di incontrare lo Spatuzza per discutere degli ultimi dettagli riguardanti l’attentato allo stadio Olimpico, avesse avuto modo di colloquiare con il Dell’Utri, che nello stesso giorno si trovava a Roma, poco distante dal bar Doney”